Allarme protezionismo
Di Carlo Pelanda (20-9-2009)
In questo settembre l’opinione pubblica in materia di economia sta indulgendo un po’ troppo sul fatto che sia stata evitata una crisi catastrofica globale a fine 2008 e non punta bene i riflettori sui nodi che restano per consolidare ed accelerare la ripresa. Da un lato, sono stati individuati i rischi principali per il biennio 2010-11 di: (a) riassorbimento troppo lento della disoccupazione in America ed Europa; (b) non riuscire ad evitare una bolla distruttiva di inflazione per errori di tempistica nel rialzare il costo del denaro allo scopo di contenerla; (c) ricaduta in una recessione grave alla fine delle stimolazioni in atto per loro insufficienza o per i motivi detti sopra. Dall’altro, non è stata messa in priorità l’attenzione sul rischio più grave nel presente: il protezionismo economico. Se aumenta sarà crisi globale certa.
Gli
osservatori economici, mesi fa, si sono sentiti tranquillizzati dalla forte
presa di posizione antiprotezionista da parte dei governi del G20. Ma una
ricerca ha da poco rilevato che questi hanno compiuto, in media, un atto
protezionistico ogni tre giorni dall’inizio del 2009. Quello più pericoloso,
per le implicazioni politiche, è stato compiuto dall’Amministrazione Obama.
Qualche giorno fa ha messo una tariffa doganale del 35% sui pneumatici a basso
costo importati dalla Cina. Il settimanale The
Economist ha messo in copertina
un’Obama che buca un pneumatico, inteso come simbolo del mercato globale,
commentando con una parola di insolita violenza: vandalismo. E si è chiesto,
correttamente, come potrà l’America, ospite del prossimo summit G20 di ottobre,
difendere il libero mercato internazionale essendosi mossa in tal modo? Tutti
rideranno e accuseranno se lo farà. In realtà Obama ha dovuto accettare un
ricatto dai sindacati, e dall’estrema sinistra della maggioranza parlamentare,
perché aveva bisogno del loro consenso per far passare la nuova legge sulla
sanità, massima priorità per una presidenza che sta perdendo consensi con una
velocità mai vista negli Usa. Poca roba, si potrebbe dire in Italia perché
abituati al pragmatismo cinico della politica. Infatti da noi la notizia è
passata in semisilenzio. Invece è rilevante perché fa sospettare che chi
governa il centro del mercato mondiale sia pronto a comprometterne la stabilità
dando priorità ad un atto politico interno. Per tale motivo l’Economist, bibbia mondiale del liberismo
e dell’economia tecnica, pur talvolta non convincente in merito alla seconda, ha tolto il sostegno ad Obama: non ha
la statura per difendere il mondo libero. Ma quali sono veramente i rischi? Il
protezionismo riduce il volume del commercio internazionale, quindi della
domanda globale. E’ una promessa di crisi gravissima per le nazioni
esportatrici, ricordando che l’Italia è una di queste e che